Uno zero più ampio – Emily Dickinson

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Emily Dickinson- immagine in Pubblico Dominio

Di Emily Dickinson si conserva questa foto, piuttosto nota: un piccolo corpo quasi da bambina, raccolto in una posa composta, e uno sguardo diretto, fiero, che contrasta con l’aspetto di fragilità che la sua immagine fissata in un dagherrotipo quasi 170 anni fa potrebbe trasmettere.
Era una donna solitaria: passò quasi tutta la vita chiusa nella sua camera, ad Amherst, nel Massachussets, e la sua vista sul mondo era tutta da quella finestra. 

Mi rinchiudono nella prosa –
come quando da bambina
mi mettevano nello stanzino –
perché mi preferivano «tranquilla» –

Tranquilla! Avessero potuto sbirciare –
vedere come frullava – la mia mente –
Potevano con simile astuzia chiudere un uccello
a tradimento – nel recinto –

Basta che lui lo voglia
e libero come una stella
guarda dall’alto la prigionia –
e ride – Io non facevo altro –

Ecco chi era Emily Dickinson: una mente fervida, mai a riposo, distaccata da tutto ma tutt’altro che eterea: anzi in certi momenti con una sorta di disincanto perfino ironico, che le ha permesso di affrontare i temi più difficili, più insondabili, dentro un pensiero rigoroso, che mai si perde nei sentimentalismi.

Aveva dentro mondi sconfinati, e una capacità di sfiorare, con le parole, gli abissi dell’esistenza umana; di toccare i misteri più profondi della vita, di saperli percepire, e di rappresentare in poesia tutto lo smarrimento, tutto lo stupore, tutto l’incanto di ciò che è indicibile, perché le parole non sono sufficienti per dire.

Anche la sua poesia è così come la sua immagine: a una forma piana, con componimenti brevi, con periodi semplici, corrisponde sempre un messaggio potente, profondo, che riguarda i grandi temi dell’esistenza: un’immagine, come un acquerello, o una metafora presa direttamente dalla natura o dalla vita quotidiana, diventa in pochi versi un tema filosofico, lo svelamento di un segreto:

Forse ho voluto troppo grandi cose –
non prendo – nulla meno di cieli –
perché terre, crescono fitte come
bacche, nella mia città natale –

Il mio cesto tiene – solo – firmamenti
Loro – mi oscillano lievi – sul braccio,
ma fardelli minori si ammassano.

Una sensibilità finissima la porta a cogliere qualsiasi sfumatura che possa svelare le cose segrete della vita, e subito la ferma nei versi: ecco, per esempio, come evoca uno di quei rari momenti della vita in cui si sente la pura, perfetta gioia, e come ne esprime la caducità:

Non fosse sceso così vicino il cielo –
sembrava proprio aver scelto la mia porta –
la distanza non mi tormenterebbe tanto –
prima – non avevo sperato –

Ma proprio udire la grazia allontanarsi –
che non ho mai pensato di vedere –
mi affligge come una perdita doppia –
è persa – e per me perduta

Nella raccolta Uno zero più ampio – tradotta con tratto discreto e impercettibile da un’altra poetessa, Silvia Bre, e disponibile in MLOL anche in audiolibro – torna più volte il tema della morte: sentite quanto umanissimo è il dolore del distacco da una persona cara; eppure non c’è disperazione; il tono è piano, l’argomentazione limpida e logica:

Ti ricopriamo – dolce viso –
non perché siamo stanchi di te –
ma perché tu hai stanchezza di noi –
Ricorda – mentre andrai –
noi ti seguiremo fino a quando
non ti accorgerai più – di noi –
e poi – a malincuore – ci volteremo
per tenerti nella mente sempre e sempre –

e biasimeremo l’amore insufficiente
che ci siamo accontentati di mostrare –
aumentato – caro – cento volte –
se tu volessi prenderlo – ora –

Di solito quando la poesia tratta di temi filosofici, diventa ermetica, incomprensibile ai non iniziati, oppure offre, di questi concetti, una rappresentazione sfuggente, evocativa, sfumata. La poesia di Emily Dickinson è invece di un nitore cristallino: indica sempre, esattamente come se fosse scienza, quello che vuole dire. Ma la purezza dell’espressione è accompagnata, ed esaltata, dall’ardore della passione.
Questo intreccio fra esattezza e passione, fra freddezza e incandescenza si potrebbe dire, è il tratto che rende la sua poesia così particolare e può forse disorientare ad una prima lettura.
Ma provando a rileggere senza cercare significati particolari, seguendo soltanto il percorso delle parole, può succedere di assistere a un vero e proprio irrompere della poesia come uno squarcio nel cielo, che ci permetterà di sentire quei versi davvero vicini alla nostra vita.
Capiterà così, a noi lettori, di ricordare improvvisamente di quando ci siamo sentiti proprio in quel modo, o di scoprire che ci stavamo ponendo proprio quelle domande dalle risposte troppo difficili, o di ritrovare un po’ rischiarate quelle inquietudini che abbiamo sentito, ma mai riconosciuto, perché troppo profonde per poter emergere.

Emily Dickinson scrisse più di un migliaio di poesie: ciascuna è una scoperta, che può raccontarci qualcosa in più di noi stessi e del mondo. Una volta conosciuto il suo linguaggio, la finezza della sua espressione, il suo alfabeto, sarà bello farle visita ogni tanto, leggendo una poesia a caso anche solo per risentire una voce così profondamente familiare.

Può essere emozionante anche sfogliare i suoi manoscritti, digitalizzati da diverse biblioteche statunitensi e disponibili nella sezione Banche dati di MLOL: una scrittura che riempie le pagine fino ai bordi, con caratteri grandi, staccati, estesi: spesso due parole compongono una riga soltanto; il testo scorre poco ordinato, veloce, aperto, quasi a voler comprendere e non lasciarsi sfuggire tutta la vastità del mondo che voleva cogliere.